L’insediamento di Trump. Anche Meloni a Washington. Ma Salvini resta in Italia
Il segretario della Lega: "Sono impegnato a individuare gli autori degli attentati alle ferrovie". La premier a Capitol Hill con tre di FdI. Santanché, Palazzo Chigi spera che la ministra si dimetta. .
L’Italia è una corona di spine. Come se non bastassero le rogne leghiste, adesso c’è anche la ministra rinviata a giudizio, problemaccio che prima o poi bisognerà risolvere. Per fortuna di Giorgia Meloni c’è l’estero: in questo caso Washington, dove volerà stanotte per assistere all’incoronazione di Donald Trump. In parte è il classico invito che non si poteva rifiutare. Prima della gita a Mar-a-Lago la premier escludeva di presenziare alla cerimonia: "Perché dovrebbe fare da comprimaria?", il ritornello da Palazzo Chigi. Ma l’invito è stato rivolto a voce dal sovrano, con tanto di insistente "guarda che ci tengo molto". E poiché lui aveva appena accettato di far finta di niente per lo scambio di ostaggi – la libertà di Sala contro la mancata estradizione di Abedini – la premier ha capito subito di non aver scelta. L’annuncio è stato ritardato fino all’ultimo: voci dicono in segno di rispetto verso l’amica Ursula von der Leyen (con cui si è sentita) che non era stata invitata. In realtà, l’ha fatto per evitare polemiche. Dunque domani sarà a Capitol HIll. Troverà tre esponenti di FdI: l’europarlamentare e vicepresidente di Ecr, Carlo Fidanza, il deputato Antonio Giordano, segretario generale dei conservatori, nonché Andrea Di Giuseppe, onorevole tricolore eletto negli Usa, un habitué alla corte di Trump.
A sconsigliare l’escursione concorrevano diversi motivi: intanto, la paura di apparire una vassalla fra tanti; poi un problema di etichetta. I capi di Stato per consuetudine non assistono al giuramento dei presidenti americani. A stracciare l’antica abitudine ci ha pensato The Donald distribuendo inviti a raffica: tra gli ospiti ci sono il presidente argentino, Javier Milei e il vicepresidente cinese Han Zheng. Soprattutto, la ex sovranista sdoganata nei salotti buoni non aveva voglia di trovarsi intruppata con la più rumorosa destra europea: non tanto il polacco Mateusz Morawiecki, neo-presidente di Ecr, quanto il leader di Reconquête, Éric Zemmour, il duro che fa apparire Marine Le Pen (RN) una colomba, o Nigel Farage il papà della Brexit. Considerazioni che si sono sciolte come neve al sole di fronte all’invito dell’imperatore.
A restarci peggio di tutti è stato Matteo Salvini che, si sa, ci teneva molto ma invece resterà a Roma. Domani non farà parte della delegazione dei patrioti, guidata dal presidente e leader di Vox, Santiago Abascal. Per la Lega ci sarà il capodelegazione a Strasburgo Paolo Borchia: "Ho troppo da fare per individuare gli autori degli attentati alle ferrovie", spiega. Chissà se spera che qualcuno ci creda. Lui rilancia: "Spero di andare presto negli Usa". Sia chiaro: la presenza alla festa di Trump non è un cruccio per Giorgia Meloni. L’occasione è evidente: da un lato, la toccata e fuga a Washington, seguita dal viaggio in Arabia Saudita (26 gennaio), Bahrein (27) e dal vertice a Belgrado (31) rafforzerà l’immagine della "leader internazionale". Dall’altro è pur sempre la sola premier europea la cui presenza è stata reclamata da Trump. Se non è una nomina a viceré in Europa poco ci manca. Rientrata dai numerosi giri, però, la premier si ritroverà alle prese con i soliti guai italiani.
Il più impellente è rappresentato proprio da Daniela Santanchè. Nonostante gli inviti dell’opposizione, Giorgia tace: aspetta di capire cosa accadrà il 29 gennaio, quando la Corte di Cassazione deciderà se tocca al Tribunale di Roma o di Milano occuparsi di un’altra indagine, quella di presunta truffa ai danni dell’Inps. La premier sa di doversi liberare di Danielona, il toto-nomi già impazza, ma non vuole essere lei a metterla alla porta. Per questioni di immagine, ma anche per evitare tensioni con il protettore della ministra, Ignazio La Russa. Spera che di qui al prossimo appuntamento con le procure, Daniela si convinca a fare da sola il doloroso passo.