L’abbaglio, Andò “arruola” ancora Ficarra e Picone per il suo film su un lembo della spedizione dei Mille

Nel cast Tommaso Ragno nella giubba di Garibaldi e Toni Servillo in quella del colonnello Orsini L'articolo L’abbaglio, Andò “arruola” ancora Ficarra e Picone per il suo film su un lembo della spedizione dei Mille proviene da Il Fatto Quotidiano.

Jan 18, 2025 - 11:41
L’abbaglio, Andò “arruola” ancora Ficarra e Picone per il suo film su un lembo della spedizione dei Mille

Le inquadrature e i movimenti di macchina nel cinema di Roberto Andò sono da tempo enfatici suppellettili. Servono a poco o nulla. Non comunicano alcun senso cinematografico. Sanno di quella tv che si fa per i grossi committenti e che poi si dimentica in fretta. Non ne è affatto esente L’abbaglio, film dal budget alquanto monumentale (21 milioni di euro) per ricreare un lembo di Spedizione dei Mille e soprattutto il diversivo che Garibaldi (qui Tommaso Ragno, irriconoscibile) impose al colonnello Orsini (Toni Servillo con pizzetto imbiancato) dopo lo sbarco in Sicilia.

Di fronte all’esercito borbonico soverchiante e all’impossibilità dei garibaldini di conquistare Palermo, meglio che Orsini con una minuta colonna infame composta da una manciata di militi, feriti e un cannoncino, facesse rotta verso l’interno – Corleone, Giuliana e infine Sambuca – per far credere al generale nemico Von Mechel (Pascal Greggory) che l’eroe dei due mondi avesse rinunciato alla conquista del capoluogo palermitano. Come andrà a finire la storia è noto. Tanto quanto il libretto di Sciascia – Il silenzio (1963) – da cui Andò trae – assieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso – la trama generale del film.

E poiché la presenza di Ficarra e Picone ha in gran parte contribuito al successo commerciale del precedente film di Andò, La stranezza, alla storia d’Italia semi-sconosciuta del vero Orsini/Servillo coraggioso cavallerizzo tirato a lucido come recitasse stralci di bollettini militari, si aggiungono di nuovo due personaggi di fantasia: Domenico e Rosario (Ficarra e Picone), scalcagnati furbastri disertori post sbarco modello Tutti a casa, improvvisate camice rosse dal moschetto sgarrupato, definitivamente antieroi dolceamari con tendenze modello Stangata.

Ecco allora il profluvio di gru, dolly e braccia meccaniche per carrellare inutilmente e pomposamente all’indietro ogni due per tre, lassù in alto, perfino quando si tratta di una fumosa saletta da gioco (il movimento parte dal tavolo e disegna un semicerchio verso il soffitto bassissimo). Va bene che le scene di battaglia vorrebbe somigliare all’epica viscontiana del Gattopardo, non somigliando però nemmeno ai vibranti campi lunghi di Rosi/Alessandrini in Camicie rosse, ma le linee tratteggiate da Andò sono spesso movimento a vuoto, simile a quelle nevrotiche panoramichette a schiaffo che oggi si usano in tanta fiction (guardate Doc con Luca Argentero o anche solo Romeo è Giulietta di Veronesi) senza offrire alcun beneficio a sguardo e narrazione.

Insomma, i vacui formalismi di stile non fanno altro che celare un secondo più sconcertante difetto di L’abbaglio: un altezzoso e supponente moralismo appiccicato come colla vetusta a facce e personaggi, scen(ett)e madri, macrosvolte della storia patria del meridione. Uno spirito apparentemente dissacratorio spento mezzo istante dopo che si è provato ad accendere l’illusione civile (il siparietto col barone mafioso che roba è?) con battute alla ricerca del memorabile ma sguazzanti nell’imbarazzante che oggi si dice cringe (“a fare opinione saranno gli imbonitori”, si rivolge direttamente al presente il disilluso Orsini vent’anni dopo la vittoria garibaldina). Ad ogni modo L’abbaglio, tutto sbilanciato in esterni giorno manco fosse un film di Leone e che in alcuni momenti di esterni notte sembra sedersi su cromatismi modello “fucilazione” di Goya, ha come qualcosa di meno squilibrato quando manca una mezz’oretta alla fine. Ficarra&Picone rifanno Sordi e Gassman di La Grande Guerra segnando qualche punticino sotto la colonna dei buoni soprattutto per Salvatore (Ficarra), mimica ed espressioni convincenti da faccia da schiaffi. Oltre a Rai, Medusa, Bi.bi di Barbagallo, a produrre c’è perfino Netflix.

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