La storia di Maysoon Majidi, accusata di essere una scafista e assolta: «Cercavamo solo un paese sicuro»
L'attivista curda considerata estranea alle accuse: «Potevano tenermi in carcere anche dieci anni, sarei uscita e avrei detto le stesse parole di sempre» L'articolo La storia di Maysoon Majidi, accusata di essere una scafista e assolta: «Cercavamo solo un paese sicuro» proviene da Open.
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Maysoon Majidi, 28 anni, attrice, regista, iraniana di origini curde e attivista per i diritti umani, è stata assolta dall’accusa di essere una trafficante di esseri umani. Con formula piena, racconta oggi al Corriere della Sera: «Non c’era niente di vero nelle accuse. Quando mi è stato chiesto se avevo qualcosa da dichiarare ho detto ai giudici che non avevo niente da dire perché non avevo parole nuove per loro. Le mie parole sono quelle di sempre, cioè la verità: io non ero una scafista né ho aiutato mai gli scafisti. Potevano tenermi in carcere anche dieci anni, sarei uscita e avrei detto le stesse parole di sempre».
La storia
La storia di Maysoon Majidi comincia dal 2019, quando le arriva un messaggio dall’opposizione iraniana: o lasci il paese o la tua vita è finita. Scappa nel Kurdistan iracheno con il fratello Razhan ma nel 2023 si trova di nuovo in pericolo. E decide di arrivare in Europa. «Non avevamo scelta. L’alternativa era consegnarci all’Iran o vivere con le minacce e la paura addosso. Vorrei ricordare un dato: in Iran il regime ha impiccato, nel 2024, 687 persone per “reati contro Dio”, come dicono loro», sostiene nel colloquio con Giusi Fasano. «Siamo arrivati a un contatto per la traversata in barca e il primo agosto 2023 io e Razhan siamo partiti per Istanbul, ma ci siamo accorti che ci avevano truffato. E così abbiamo dovuto pagare due volte, nel telefonino ho tutti i messaggi disperati per chiedere soldi e riuscire a partire dopo aver scoperto della truffa. Ma quei messaggi il pubblico ministero non li ha considerati…», ricorda.
L’arresto
Dopo lo sbarco in Calabria il 31 dicembre 2023 viene arrestata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Un’accusa per me incredibile. I primi tempi ero molto arrabbiata, mi sentivo male, avevo attacchi di panico. Aspettavo, aspettavo, aspettavo ogni giorno per difendermi ma sembrava che nessuno volesse sentire quello che avevo da dire. Sono stata sette mesi nel carcere di Castrovillari e altri tre a Reggio Calabria. Poi finalmente hanno capito…». Il 22 ottobre viene scarcerata perché cadono i «gravi indizi» contro di lei: «Finalmente hanno capito che stavo dicendo la verità. I testimoni che mi hanno accusato raccontavano bugie. Non si sono mai presentati in udienza perché non li hanno mai cercati, anche se loro pubblicavano video su Facebook ed era facile trovarli».
L’acqua ai migranti
Tra le accuse c’era quella di aver aiutato il capitano distribuendo acqua ai migranti: «Lo giuro: se avessi avuto acqua o cibo da distribuire lo avrei fatto perché su quella barca, che era meno di 10 metri, eravamo in 77 e fra noi c’erano 25 bambini. Lei riesce a immaginare in che condizioni viaggiavamo? Siamo partiti dalla Turchia con solo il nostro zaino, altro che acqua da distribuire… Per cinque giorni su quella barca io, come tanti altri, ho vomitato e non ho mangiato niente». E dice che la cosa più dura del processo è stata «l’umiliazione. In aula sentivo parole che erano come coltelli infilati nel cuore. Menzogne terribili. La dottoressa Multari, della pubblica accusa, a un certo punto ha detto ai giudici: questa ragazza è una criminale. Ma io e mio fratello siamo rifugiati politici. Cercavamo solo un Paese sicuro. Con noi e come noi su quella barca c’era gente che fuggiva dalla guerra, dalla pena di morte, dalla tortura».
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