Ex Ilva: vendita rinviata, ma cassa integrazione rinnovata. Il ministro Urso: “No allo Stato come azionista”

Il governo allunga ancora la scadenza per la vendita dell'ex Ilva, fino a metà febbraio, sperando in offerte migliori. Intanto, l’azienda chiede il rinnovo della cassa integrazione per il 2025, ma con un numero ridotto di lavoratori coinvolti L'articolo Ex Ilva: vendita rinviata, ma cassa integrazione rinnovata. Il ministro Urso: “No allo Stato come azionista” proviene da FIRSTonline.

Feb 4, 2025 - 14:08
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Ex Ilva: vendita rinviata, ma cassa integrazione rinnovata. Il ministro Urso: “No allo Stato come azionista”
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L’ex Ilva di Taranto, oggi Acciaierie d’Italia, è ancora al centro di una crisi che sembra senza fine. La società, in amministrazione straordinaria dal 2015, è alla ricerca di un acquirente capace di rilanciarla e di garantire la validità e la sostenibilità delle offerte su tutti i fronti: industriale, ambientale, economico e occupazionale. Tuttavia, la strada si sta rivelando più complicata del previsto. Con offerte ben al di sotto delle aspettative del governo, il futuro dell’acciaieria resta appeso a un filo, mentre migliaia di lavoratori continuano a fare i conti con la cassa integrazione.

Ex Ilva, vendita rinviata ancora: quali sono le offerte?

A causa delle difficoltà finanziarie e produttive, il governo ha deciso di prorogare (per la terza volta in due mesi) la scadenza per la procedura di vendita di Acciaierie d’Italia, inizialmente fissata per il 31 gennaio, fino al 14 febbraio 2025. L’obiettivo è dare ai potenziali compratori il tempo per migliorare le loro proposte economiche, ma la situazione resta critica. Le tre principali offerte per l’acquisizione dell’intero complesso industriale – provenienti da Jindal Steel (India), Baku Steel (Azerbaigian) e Bedrock Industries (Usa) – sono ben al di sotto della cifra di 1,5 miliardi di euro auspicata dal governo. Le offerte ricevute spaziano infatti da 80 milioni a 950 milioni di euro, una cifra che evidenzia quanto sia difficile attrarre investimenti significativi in un settore, quello siderurgico, segnato dalla sovrapproduzione cinese e dal calo della domanda in Europa.

La proposta di Jindal Steel è l’unica ad aver reso pubblici i dettagli, con un piano che prevede un investimento complessivo di circa 2 miliardi di euro, destinato in larga parte alla decarbonizzazione dell’acciaieria. Al contrario, l’offerta di Bedrock Industries è stata criticata per i suoi modelli finanziari poco compatibili con una realtà in amministrazione straordinaria, mentre quella di Baku Steel non ha ancora fornito indicazioni chiare sul piano industriale.

Oltre a queste tre offerte principali, sono giunte altre sette proposte relative all’acquisizione di specifici asset della società, in particolare i siti produttivi di ArcelorMittal Italia. Una delle offerte più significative arriva dal gruppo Marcegaglia, che ha manifestato interesse per i siti di Racconigi, Salerno e per alcune attività in Francia. Nonostante non ci siano ancora segni di una possibile fusione tra le offerte di Jindal Steel e Baku Steel, una futura alleanza tra i due gruppi non è da escludere.

Acciaierie d’Italia chiede il rinnovo della cassa integrazione

Mentre si aspetta un cavaliere bianco, la situazione è tutt’altro che rosea per i lavoratori. L’azienda ha recentemente chiesto il rinnovo della cassa straordinaria – uno strumento ormai strutturale per Acciaierie d’Italia – per il 2025, con decorrenza dal 1° marzo, ma riducendola rispetto all’anno in corso. Si passerebbe così da un massimo di 4.050 lavoratori in cassa integrazione a 3.420, di cui 2.955 nel sito principale di Taranto. La richiesta è stata inviata il 3 febbraio ai ministeri del Lavoro e delle Imprese, ai sindacati e alle regioni interessate, evidenziando come la crisi occupazionale sia tutt’altro che risolta.

Nonostante una lieve riduzione, il ricorso continuo alla cig è un segnale del persistente squilibrio tra i costi e i ricavi della gestione industriale. Secondo l’azienda, i livelli produttivi attuali – circa 2 milioni di tonnellate di acciaio nel 2024 – e quelli previsti per il 2025 (3,5 milioni di tonnellate) non sono sufficienti a garantire la sostenibilità finanziaria del ciclo produttivo. A ciò si aggiunge la necessità di riorganizzare il personale, dato che alcune aree degli impianti rimangono inattive o operano a ritmo ridotto. Jindal ha già dichiarato che non può garantire il mantenimento dei 10mila posti di lavoro, ma si è detto disposto a creare nuove opportunità a valle della produzione una volta che la trasformazione sarà completata.

Il ministro Urso: “niente azionista pubblico in Acciaierie d’Italia”

Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha espresso fiducia nella conclusione della procedura di vendita, sottolineando che le proposte ricevute dai tre potenziali acquirenti sono “serie”. Secondo il ministro, il percorso di amministrazione straordinaria avviato meno di un anno fa ha già portato a risultati importanti, tra cui la riattivazione di un altoforno e l’avvio dei lavori su un secondo. Urso ha anche evidenziato il supporto alle imprese dell’indotto, l’accordo con i sindacati sulla gestione della cassa integrazione e l’avvio del Tecnopolo di Taranto, un progetto mirato alla transizione ambientale del sito.

Tuttavia, il governo ha chiarito che non intende mantenere una partecipazione pubblica nella proprietà di Acciaierie d’Italia. Il ministro ha spiegato: “La presenza dello Stato non ha contribuito positivamente in questi anni per l’ex Ilva. Di per sé, la presenza dello Stato non è sempre la soluzione ai problemi”. Concludendo, ha precisato che la partecipazione pubblica sarà esaminata, ma che il bilancio dei fatti passati, quando Invitalia aveva una parte significativa nella proprietà, non può essere giudicato come positivo.

Un futuro ancora incerto

Nonostante gli sforzi, il contesto economico e industriale resta sfavorevole. Il calo della domanda di acciaio in Europa, combinato con le difficoltà strutturali di Acciaierie d’Italia, rende il rilancio del polo siderurgico un’impresa ardua. La possibilità di una vendita sottocosto o di una riduzione significativa delle attività preoccupa i sindacati e gli oltre 10mila lavoratori, che vedono il futuro sempre più incerto.

L’ex Ilva, simbolo di un passato industriale glorioso e di una crisi che non sembra trovare soluzione, continua a rappresentare una sfida complessa per il governo e per il sistema economico italiano. I prossimi giorni, con la scadenza delle offerte e la decisione sul futuro proprietario, saranno cruciali per capire quale direzione prenderà questa lunga e tormentata vicenda.