Cosa manca a Schlein per guerreggiare con Meloni

Qual è lo stato di salute della maggioranza di governo e delle opposizioni. Il corsivo di Battista Falconi

Feb 3, 2025 - 22:03
 0
Cosa manca a Schlein per guerreggiare con Meloni

Qual è lo stato di salute della maggioranza di governo e delle opposizioni. Il corsivo di Battista Falconi

 

Gioco astratto, scenario ipotetico, dibattito innocuo e perciò coinvolgente, come quando si immaginava la formazione ideale della nazionale di calcio. I quesiti che appassionano le opposizioni sono: marciare divisi o uniti? Alleanze prima o dopo il voto? Ad animarli, la proposta di Franceschini e Conte ma anche l’onnipresenza di Prodi, ancorché il grande vecchio assicuri di non voler riscendere in campo e si mostri tranquillo a preparare il caffè con la moka nella propria cucina, anzi tutti sono d’accordo che “l’Ulivo non tornerà”. Eppure si continua a parlare, Bonelli si dice “contrario al lodo Franceschini perché servono alleanze stabili”, Nardella pensa che “le parole di Conte sull’essere uniti nella diversità siano importanti”. Come se ci fosse differenza sostanziale tra perdere le elezioni e vincerle ritrovandosi alla rissa immediatamente successiva, nella migliore delle tradizioni delle sinistre.

Si va avanti a chiacchiere, come ai margini dei campi di calcio o sugli spalti degli stadi e delle piattaforme video, inanellando tatticismi che prescindono dal valore dei calciatori. Almeno oggi la realtà, misurando goal fatti e subiti, è però quella che emerge dai sondaggi Youtrend/Agi secondo cui FdI cresce e arriva al 30%, sale anche il Pd (23,7%), calano M5s (11%) e Fi (9,3%). Rilevazione citata da Giorgia Meloni nel post in cui rivendica il risultato del suo partito ma che ovviamente soddisfa anche Elly Schlein: l’aumento di favore al suo Pd lo rende più baricentrico nell’eventuale alleanza con M5S e altri, in analogia al ruolo FdI nella compagine governativa. Per il socio di maggioranza gli alleati sono scomodi, si agitano sempre, sia per convenienza (governare ma facendo finta di opporsi), sia per convinzione (altrimenti ci si presenterebbe sotto un unico partito).

Detto ciò, Schlein ha solo uno dei plus che rendono insostituibile Meloni, non il principale, cioè la leadership che il primo ministro vanta per carisma personale, qui la distanza è abissale, e per le ragioni sottostanti, cioè idee forti che prescindono dal consenso. Il piccolo miracolo meloniano è questo: traguardare una meta ideale forte (Make Italia Great Again, per dirla alla Musk ed), seguire una traccia operativa chiara – Albania, migrazioni, nucleare, green, per dirne alcune – e disinteressarsi delle irrilevanti opposizioni politiche, mediatiche e corporative, la cui critica non può che ripetersi onanisticamente, così come delle perplessità domestiche, ad esempio sugli hotspot albanesi.

In questo percorso Meloni mescola una purezza adamantina, il “non sono ricattabile” rafforzato dall’avvertenza di essere disponibile a lasciare Palazzo Chigi, con una buona dose di arguzia, per cui un po’ segue la corrente e un po’ la guida. Sul green, per esempio, sa che non conviene fidarsi troppo della scienza, ormai incapace di fornire spiegazioni chiare e indicazioni coerenti: l’errore che fece von der Leyen nel 2019 lanciando il Green deal che oggi si deve rimangiare in gran parte. “Transizione ecologica” era solo uno slogan, azzerare le emissioni nette di carbonio entro il 2050 è tutta un’altra questione. La realtà cambia e gli slogan vanno bene quando consentono di virare senza traumi, come fa Meloni sull’Intelligenza artificiale parlando di “opportunità e rischi”.

Il premier gode di una pragmatica sincerità che la distingue dalla fauna politica. Anche nei suoi limiti, con le insistenze vittimistiche e complottistiche esplicita il proprio disorientamento di fronte ai giudici che “disapplicano la legge”, frase che nemmeno si può sentire, e con l’ostentata tranquillità sui dazi, partita di enorme complicazione. Per non parlare di beghe interne come le 59mila aziende perse in cinque anni tra moda, metallurgia, legno e alimentare; oppure i 750 mila 15-34 enni persi in dieci anni, che né la sostituzione migratoria né tantomeno le politiche demografiche potranno compensare.

Meloni ha poi un fiuto eccezionale nel capire che la velocità e l’entità di cambiamento del reale trascinano profondamente quella ideologica. Un anniversario tondo utile a rilevare il mutamento in corso è il sessantennale de “l’obbedienza non è più una virtù” di don Milani. Oggi chiediamo stabilità e autorevolezza, tanto che persino il decennale del non sempre amichevole Mattarella, per il Presidente del consiglio, è una buona notizia.