ACAB La serie – La recensione: una grande riscrittura che esaspera i toni emotivi del film
ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla serie tv Netflix Acab Tra le tante (spesso troppe) riscritture che ormai popolano piccolo e grande schermo al giorno d’oggi, poche sono state necessarie quanto quella di Acab. Il romanzo di Carlo Bonini aveva fatto il suo approdo al cinema nel 2012, con un lungometraggio duro arrivato con la forza… Leggi tutto »ACAB La serie – La recensione: una grande riscrittura che esaspera i toni emotivi del film The post ACAB La serie – La recensione: una grande riscrittura che esaspera i toni emotivi del film appeared first on Hall of Series.
ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla serie tv Netflix Acab
Tra le tante (spesso troppe) riscritture che ormai popolano piccolo e grande schermo al giorno d’oggi, poche sono state necessarie quanto quella di Acab. Il romanzo di Carlo Bonini aveva fatto il suo approdo al cinema nel 2012, con un lungometraggio duro arrivato con la forza di un pugno dritto in faccia agli spettatori. Un film di notevole successo, che ha pure fatto da capostipite alla cosiddetta trilogia della Roma Criminale, cui avrebbero poi fatto seguito Suburra (trasformato anch’esso, come ben sappiamo, in una serie tv da Netflix) e Adagio. Ora la piattaforma di Los Gatos, evidentemente a suo agio in questa tipologia di narrazioni, almeno per ciò che concerne il versante italiano, ha deciso di rimettere le mani pure su Acab, regalandoci una serie tv che riesce nell’ardua impresa di non far rimpiangere quell’ottimo film.
La produzione Netflix riparte proprio dalle atmosfere del lungometraggio, esasperandone ancora di più i toni. La maggiore estensione temporale viene sfruttata per conferire al racconto una maggiore profondità emotiva, andando a insistere con forza su tutte le contraddizioni e le ambiguità che segnano il mondo che Acab intende raccontare. Quello della “celere”, i reparti mobili della Polizia di Stato. Il racconto procede con una crudezza estremizzata. Senza assumere nessun tipo di ideologia. Senza scendere in campo e schierarsi. Descrivendo, semplicemente, nel modo più diretto e feroce possibile ciò che si osserva.
Ne viene fuori una narrazione veramente di grande impatto. Arricchita da delle prove attoriali davvero considerevoli. Ne deriva un racconto che ci colpisce, ancora una volta, come un fortissimo pugno in faccia. Lo stesso shock provato più di dieci anni fa. Se possibile ancora più intenso. Questa nuova trasposizione di Acab non si configura solo come una scommessa vinta, ma come un’operazione necessaria. Perché, sempre senza prendere alcuna parte, parla senza filtri, e ci lascia inermi di fronte all’ambiguità della violenza e alle contraddizioni di una società in cui i confini tra bene e male sono ormai ampiamente cancellati e mescolati.
Un racconto crudo, asciutto e ricco di tensione
Diamo subito un avviso ai naviganti. Pure noi, sulla falsariga dell’approccio della serie Netflix e nel rispetto della complessità della materia narrata, non intendiamo assumere alcuna posizione. Ci limiteremo a parlare di quanto visto nella serie e di come è stato raccontato. In un panorama dove quasi tutto, ormai, si fa ideologia, è bene conservare un sano spazio di discussione. Detto ciò, partiamo col connaturare Acab. Con l’evidenziare le sue specifiche narrativa: un tono crudo e asciutto, al cui centro vengono messe le sensazioni dei protagonisti. Il racconto è molto fisico, quasi animalesco, volto a sottolineare una certa primordialità di alcuni elementi in ballo.
Il lavoro viene inteso dai protagonisti, infatti, come una sorta di lotta per la sopravvivenza. Una battaglia (non a caso nella serie s’impiega spesso il termine guerra) per la salvaguardia non solo della propria integrità, ma pure delle proprie idee. Della propria, primigenia e irriducibile, identità. Un racconto del genere deve, per forza di cose, nutrirsi di una fortissima tensione, che infatti viene sempre costruita con estrema sapienza. La serie Netflix opta per tempi narrativi molto dilatati, volti proprio ad accentuare queste tensioni, che si fanno magnetiche in tantissimi passaggi (gli scontri con gli ultras inglesi, la scena di Emma sospesa sul cornicione, l’attacco finale alla Polizia)
Queste scene di tensione vengono narrate molto spesso utilizzando una prospettiva quasi in prima persona. La telecamera resta vicinissima ai protagonisti. Anzi spesso si mette dalla loro parte, mostrandoci ciò che vedono con l’intenzione di farci percepire ciò che percepiscono. La volontà è quella di creare una sorta di esperienza immersiva che però non generi empatia, ma solo comprensione. Molto furbescamente, e con grande efficacia, Acab rimane sempre attenta a non creare un filo troppo diretto tra i personaggi e lo spettatori, così da mantenere il quadro più asettico possibile. Con la volontà, come detto, di descrivere, non di interpretare o addirittura di giustificare.
Un racconto violento
Soprattutto, però, Acab è un racconto di violenza. Di una violenza tutt’altro che semplice. Tutt’altro che diretta. Anzi, è di una violenza subdola. Insinuatasi ormai a più livelli in ogni aspetto della società. Onnipresente. La violenza fisica (le botte, le manganellate) sono solo un primo strato di una violenza molto più strutturata. Psicologica, ma pure esistenziale. La solitudine è violenza in Acab. La rabbia, la delusione, persino la passione: ogni sentimento è estremamente violento. È irruente e debordante. Un fiume in piena impossibile da contenere.
La violenza in Acab è semplicemente dilagante. Onnicomprensiva. Investe tutti e non risparmia nessuno. Ne esce sballottolato anche lo spettatore, colpito pure lui a più riprese dalle raffiche senza sosta del racconto. Capita spesso, infatti, durante la visione della serie Netflix di provare una fitta di disagio. Questo perché la violenza mostrata non è fine a se stessa. Non è mero artificio narrativo. Strumento d’azione. È invece espressione di una società ambigua, in cui ormai quella stessa violenza rappresenta una sorta di termometro emotivo del proprio stato di coscienza. Un indice di definizione del proprio essere.
La dimensione collettiva e quella individuale in Acab
Tutta la narrazione, in Acab, si articola attorno a una duplice dimensione. Quella collettiva, data dalla vita in Polizia, da quella fratellanza sviscerata con cura, e quella individuale, intima, che si consuma nella solitudine incolmabile dei protagonisti. Chiaramente s’insiste molto sul concetto di fratellanza. Il tema annunciato della serie. Sentimento anch’esso dominante, capace d’investire anche i più resistenti lupi solitari come Michele Nobili. L’analisi di questo concetto è al centro del racconto pure nel film. Qui, però, complice chiaramente il minutaggio più ampio, s’insiste molto pure sull’aspetto privato dei poliziotti. Tutti alle prese con rapporti conflittuali e con l’incapacità di scindere e gestire al meglio queste due dimensioni.
Nel loro intimo i protagonisti sono tormentati. L’unica consolazione arriva proprio da quella divisa che crea un senso d’unione. Fittizio, però. Illusorio. Perché tolta la divisa cosa resta? Cosa rimane a Pietro dopo l’incidente che lo ha costretto sulla sedia a rotelle? Cosa ha portato a Mazinga quella cieca devozione ai suoi colleghi? Scricchiola, qui, quella solida fratellanza, che però rimane un sentimento quasi necessario quando si è chiamati a instaurare dei rapporti sul lavoro che possono essere salvavita. Tornano quelle contraddizioni, quell’ambiguità devastante che contrassegna il racconto. Non si riesce mai a mediare tra queste due dimensioni. Non ci riescono i diretti interessati, ma non ci riesce nemmeno chi osserva da dietro uno schermo.
Le difficoltà arrivano anche da una ben precisa connotazione di quasi tutti i personaggi. Freddi, ermetici, chiusi. C’è una fortissima repressione, conseguenza sicuramente pure della violenza cui devono assistere. Narrativamente questa connotazione ha il pregio di contribuire alla presa di distanza del racconto, che riesce così a raccontare senza schierarsi. Concettualmente, invece, aiuta a evidenziare tutte le ombre di un mondo verso cui sembra impossibile aprirsi senza esporsi a tutta quella violenza dilagante che lo affligge.
Non c’è bene, non c’è male. E quindi cosa ci rimane?
Alla luce di tutto ciò di cui abbiamo parlato, ci rimane quell’estrema domanda che si pone pure la serie. Tutto il racconto, andando oltre le singole storie, dimostra l’impossibilità di tracciare una linea bene definita tra bene e male. L’ambiguità e le contraddizioni che tornano. Sono loro le grandi protagoniste del racconto. Le anime di Acab. Le ragioni d’essere di un crudissimo e ferocissimo quadro drammaticamente esistenziale e tragicamente realistico. La serie Netflix si avventura in terreni parecchio scivolosi. Lo fa proprio per dimostrare l’assenza di una netta divisione tra il bene e il male. Per mostrare come il grigio sia dominante sui decisi toni del bianco e del nero.
Viene da chiedersi, dunque, cosa ci rimane, perché dopo aver assistito a tutta la violenza che prende vita in Acab, non si può che sentirsi disorientati. E non è una questione di ideologia, ma di umanità. La violenza sembra essere la condizione d’esistenza, più per conseguenza che per scelta. Sembra perpetuarsi in un ciclo infinito, dove questa stessa violenza pare essere l’unica strada possibile per rispondere ad altra violenza. Ed è così che si perdono i confini. I riferimenti. È così che perde completamente senso indossare una divisa e schierarsi da una parte o l’altra della giustizia. Non ci sono più schieramenti se non ci sono né bene né male. Se c’è solo violenza.
Dopo un’annata straordinaria, la serialità italiana riparte alla grandissima (qui potete recuperare la nostra classifica delle migliori serie tv del 2025). Mentre si parla, giustamente, in un lungo e largo di M – Il figlio del Secolo (qui trovate la nostra anteprima, mentre la recensione completa della serie arriverà alla fine della messa in onda su Sky), arriva un’altra serie tv che ci sembra davvero necessaria. Per comprendere i confini di un mondo contaminato dalla violenza e dominato da un’ambiguità strutturale. Acab serviva, e Netflix l’ha fatta tornare in uno dei migliori modi possibili.
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