Tregua a Gaza, sciolti i nodi. Hamas: l’intero accordo verrà firmato stanotte

I media israeliano-palestinesi danno per sciolti i nodi che ostacolavano l’accordo e stavano facendo temere dei passi indietro con accuse reciproche tra Israele e Hamas. Mentre ora anche una fonte di Hamas ha dichiarato che tutte le controversie e le interpretazioni che Tel Aviv ha suscitato riguardo ad alcune clausole sono state risolte. L’intero accordo verrebbe firmato già questa sera. Il governo israeliano voterà domani mattina l’accordo sulla tregua a Gaza. Il presidente dello Shas, Aryeh Deri, citato dal Times of Israel, ha detto che sono stati superati gli ostacoli che impediscono l’intesa. Foto: Epa Questa sera al sito d’informazione palestinese Shebakt Quds che tutte le controversie e le interpretazioni che Tel Aviv ha suscitato riguardo ad alcune clausole sono state risolte. Intanto lo stretto collaboratore del primo ministro Benyamin Netanyahu, Natan Eshel, ha annunciato che il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir, contrario all’accordo, si è dimesso dal governo. A riferirlo sono i media israeliani. Fonte diplomatica Israele: “Non ancora finalizzati tutti i dettagli accordo” Una fonte diplomatica israeliana ha nuovamente affermato che gli ultimi dettagli dell’accordo per il rilascio degli ostaggi non sono ancora stati finalizzati. A scriverne è il Times of Israel: «Il Primo Ministro Netanyahu è irremovibile sulla necessità di finalizzare tutti i dettagli dell’accordo prima di sottoporlo all’approvazione del Gabinetto e del Governo», ha dichiarato la fonte ai giornalisti, affermando che Israele ha costretto Hamas a fare marcia indietro rispetto alle richieste dell’ultimo minuto sul Corridoio Philadelphi. Precedentemente l’Ufficio del Primo Ministro aveva parlato di un disaccordo sull’identità di alcuni dei prigionieri palestinesi che dovrebbero essere rilasciati. «Questa insistenza sembra dare i suoi frutti, ma finché non ci sarà un accordo completo, Netanyahu non convocherà il gabinetto e il governo», ha dichiarato la fonte. Secondo i media ebraici, il gabinetto dovrebbe riunirsi domani mattina e l’accordo dovrebbe entrare in vigore domenica. Domani la riunione del governo israeliano per l’ok all’intesa L’intero accordo verrebbe firmato già questa sera. Lo riferisce Walla. Il cessate il fuoco è “un momento di sollievo” per lo Stato ebraico quanto per la Palestina, ha dichiarato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, affermando di ritenere che l’intesa parta domenica. Sarebbero almeno 73 le persone sono rimaste uccise negli attacchi israeliani a Gaza dopo l’annuncio dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Lo rende noto la Protezione Civile di Gaza. L’accordo per la tregua a Gaza è arrivato dopo quasi 470 giorni di guerra e almeno 46.700 morti nella Striscia. Il cessate il fuoco prenderà il via da domenica, con Hamas che dovrà iniziare a rilasciare 33 ostaggi vivi. L’intesa per la tregua è arrivata dopo quasi 470 giorni di guerra e almeno 46.700 morti nella Striscia. Il primo rilascio dovrebbe iniziare il 19 gennaio, la tregua scatterà alle 12:15. Il cessate il fuoco è “un momento di sollievo” per lo Stato ebraico quanto per la Palestina, ha dichiarato Blinken Dopo aver accettato la tregua la scorsa notte, Israele ha preso di mira un luogo a Gaza dove è tenuta in ostaggio una donna, secondo quanto riportato da Sky News. «Dopo aver annunciato l’accordo, l’esercito nemico ha preso di mira un luogo in cui si trovava una delle prigioniere della prima fase dell’accordo previsto – ha precisato Abu Obeida delle Brigate al Qassam in una dichiarazione, che sembra suggerire che Israele abbia usato un attacco aereo – Qualsiasi aggressione e bombardamento in questa fase potrebbe trasformare la libertà di un prigioniero in tragedia», ha aggiunto. Le parole di Blinken: si attende la ratifica per domenica «Ci aspettiamo che l’accordo per Gaza parta domenica». Lo ha detto Antony Blinken in un briefing con la stampa al dipartimento di Stato. Il segretario è stato interrotto da una manifestante che ha accusato l’amministrazione Biden di genocidio a Gaza. Foto: Epa Notizia della tregua La notizia dell’accordo per la tregua a Gaza è arrivato dopo quasi 470 giorni di guerra e almeno 46.700 morti nella Striscia. Il cessate il fuoco prenderà il via da domenica, con Hamas che dovrà iniziare a rilasciare 33 ostaggi vivi. La convalida dell’intesa era prevista per oggi dal governo israeliano, ma Netanyahu accusa Hamas di tentare di ritrattare all’ultimo i termini dell’accordo cercando di decidere i prigionieri palestinesi da rilasciare. L’ufficio del primo ministro israeliano ha diffuso una nota in cui afferma che «Hamas ha rinnegato parti dell’accordo raggiunto con i mediatori e Israele nel tentativo di estorcere concessioni dell’ultimo minuto. l gabinetto israeliano non si riunirà finché i mediatori non comunicheranno a Israele che Hamas ha accettato tutti gli elementi dell’accordo». La risposta di Hamas tramite Izzat al-Rashak: «Impegnati a rispettare l’accordo». Min

Jan 16, 2025 - 21:01
Tregua a Gaza, sciolti i nodi. Hamas: l’intero accordo verrà firmato stanotte

I media israeliano-palestinesi danno per sciolti i nodi che ostacolavano l’accordo e stavano facendo temere dei passi indietro con accuse reciproche tra Israele e Hamas.

Mentre ora anche una fonte di Hamas ha dichiarato che tutte le controversie e le interpretazioni che Tel Aviv ha suscitato riguardo ad alcune clausole sono state risolte. L’intero accordo verrebbe firmato già questa sera.

Il governo israeliano voterà domani mattina l’accordo sulla tregua a Gaza. Il presidente dello Shas, Aryeh Deri, citato dal Times of Israel, ha detto che sono stati superati gli ostacoli che impediscono l’intesa.

Foto: Epa

Questa sera al sito d’informazione palestinese Shebakt Quds che tutte le controversie e le interpretazioni che Tel Aviv ha suscitato riguardo ad alcune clausole sono state risolte.

Intanto lo stretto collaboratore del primo ministro Benyamin Netanyahu, Natan Eshel, ha annunciato che il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir, contrario all’accordo, si è dimesso dal governo. A riferirlo sono i media israeliani.

Fonte diplomatica Israele: “Non ancora finalizzati tutti i dettagli accordo”

Una fonte diplomatica israeliana ha nuovamente affermato che gli ultimi dettagli dell’accordo per il rilascio degli ostaggi non sono ancora stati finalizzati.

A scriverne è il Times of Israel: «Il Primo Ministro Netanyahu è irremovibile sulla necessità di finalizzare tutti i dettagli dell’accordo prima di sottoporlo all’approvazione del Gabinetto e del Governo», ha dichiarato la fonte ai giornalisti, affermando che Israele ha costretto Hamas a fare marcia indietro rispetto alle richieste dell’ultimo minuto sul Corridoio Philadelphi.

Precedentemente l’Ufficio del Primo Ministro aveva parlato di un disaccordo sull’identità di alcuni dei prigionieri palestinesi che dovrebbero essere rilasciati.

«Questa insistenza sembra dare i suoi frutti, ma finché non ci sarà un accordo completo, Netanyahu non convocherà il gabinetto e il governo», ha dichiarato la fonte. Secondo i media ebraici, il gabinetto dovrebbe riunirsi domani mattina e l’accordo dovrebbe entrare in vigore domenica.

Domani la riunione del governo israeliano per l’ok all’intesa

L’intero accordo verrebbe firmato già questa sera. Lo riferisce Walla. Il cessate il fuoco è “un momento di sollievo” per lo Stato ebraico quanto per la Palestina, ha dichiarato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, affermando di ritenere che l’intesa parta domenica.

Sarebbero almeno 73 le persone sono rimaste uccise negli attacchi israeliani a Gaza dopo l’annuncio dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Lo rende noto la Protezione Civile di Gaza. L’accordo per la tregua a Gaza è arrivato dopo quasi 470 giorni di guerra e almeno 46.700 morti nella Striscia. Il cessate il fuoco prenderà il via da domenica, con Hamas che dovrà iniziare a rilasciare 33 ostaggi vivi.

L’intesa per la tregua è arrivata dopo quasi 470 giorni di guerra e almeno 46.700 morti nella Striscia. Il primo rilascio dovrebbe iniziare il 19 gennaio, la tregua scatterà alle 12:15. Il cessate il fuoco è “un momento di sollievo” per lo Stato ebraico quanto per la Palestina, ha dichiarato Blinken

Dopo aver accettato la tregua la scorsa notte, Israele ha preso di mira un luogo a Gaza dove è tenuta in ostaggio una donna, secondo quanto riportato da Sky News.

«Dopo aver annunciato l’accordo, l’esercito nemico ha preso di mira un luogo in cui si trovava una delle prigioniere della prima fase dell’accordo previsto – ha precisato Abu Obeida delle Brigate al Qassam in una dichiarazione, che sembra suggerire che Israele abbia usato un attacco aereo – Qualsiasi aggressione e bombardamento in questa fase potrebbe trasformare la libertà di un prigioniero in tragedia», ha aggiunto.

Le parole di Blinken: si attende la ratifica per domenica

«Ci aspettiamo che l’accordo per Gaza parta domenica».

Lo ha detto Antony Blinken in un briefing con la stampa al dipartimento di Stato. Il segretario è stato interrotto da una manifestante che ha accusato l’amministrazione Biden di genocidio a Gaza.

Foto: Epa

Notizia della tregua

La notizia dell’accordo per la tregua a Gaza è arrivato dopo quasi 470 giorni di guerra e almeno 46.700 morti nella Striscia. Il cessate il fuoco prenderà il via da domenica, con Hamas che dovrà iniziare a rilasciare 33 ostaggi vivi.

La convalida dell’intesa era prevista per oggi dal governo israeliano, ma Netanyahu accusa Hamas di tentare di ritrattare all’ultimo i termini dell’accordo cercando di decidere i prigionieri palestinesi da rilasciare.

L’ufficio del primo ministro israeliano ha diffuso una nota in cui afferma che «Hamas ha rinnegato parti dell’accordo raggiunto con i mediatori e Israele nel tentativo di estorcere concessioni dell’ultimo minuto. l gabinetto israeliano non si riunirà finché i mediatori non comunicheranno a Israele che Hamas ha accettato tutti gli elementi dell’accordo». La risposta di Hamas tramite Izzat al-Rashak: «Impegnati a rispettare l’accordo».

Ministero della Sanità di Hamas: 81 morti a Gaza in 24 ore

Almeno 81 persone sono rimaste uccise nel territorio palestinese nelle ultime 24 ore, durante le quali è stato annunciato un accordo di tregua tra Israele e Hamas.

Lo annuncia il ministero della Sanità di Gaza, sotto il controllo di Hamas. Secondo un comunicato stampa del ministero, queste nuove perdite portano il bilancio delle vittime di oltre 15 mesi di guerra a 46.788 mentre i feriti sono 110.453.

Ue adotta un pacchetto di aiuti per 120 milioni a Gaza

«Oggi adottiamo un pacchetto di aiuti per 120 milioni di euro a  Gaza per affrontare la crisi umanitaria in corso. Sappiamo che la situazione lì è catastrofica e che i palestinesi hanno urgente bisogno di cibo, forniture mediche, tende e altre protezioni». Lo ha detto la portavoce della Commissione Ue  Speriamo Eva Hrncirova nel corso dell’incontro con la stampa.

Nel complesso gli aiuti umanitari dell’Ue a paesi terzi raggiungeranno quest’anno  1,9 miliardi, ha anche sottolineato.

Il ruolo di Trump nella tregua a Gaza

Trump si prende il merito della tregua di Gaza. A cinque giorni dall’insediamento presenta l’accordo come un successo della sua politica estera.

Biden e Blinken non arrivano a tanto. Però elogiano la cooperazione tra le due Amministrazioni Usa, entrante e uscente.

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Anche i democratici Usa, quindi riconoscono il ruolo di Trump. In effetti, dati i contenuti dell’accordo tra Hamas e il governo Netanyahu, lo si poteva raggiungere due mesi fa o anche prima. Perché aspettare che l’Inauguration Day fosse così vicino? Alla leadership palestinese, Trump aveva lanciato una minaccia con tanto di ultimatum e data di scadenza: voleva una liberazione di ostaggi entro il 20 gennaio, oppure ci sarebbe stato «un inferno».

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È verosimile che abbia avuto un peso. Non sarebbe la prima volta che gli estremisti islamici sono più malleabili di fronte a un repubblicano: dopo la rivoluzione khomeinista, gli iraniani tennero per 444 giorni i diplomatici americani in ostaggio, rovinando il democratico Carter, per liberarli quando vinse le elezioni il repubblicano Reagan. Un peso Trump lo ha avuto pure nei confronti di Israele. Un misto di pressioni e promesse.

Foto: Shutterstock

Da una parte, consultato da Netanyahu, gli ha messo fretta. D’altra parte il premier israeliano sa di avere nel 47esimo presidente degli Stati Uniti un sostenitore a oltranza, ben più amico di quanto lo fosse Biden. Fu sotto la prima amministrazione Trump che l’America spostò l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, gesto gravido di simbolismo e molto apprezzato.

Né Trump ha mai criticato gli insediamenti dei coloni israeliani, a differenza di Biden. Questo ha aiutato Netanyahu a vincere le resistenze della sua estrema destra, della componente più oltranzista nella sua coalizione.

È presto per sapere quali altri patti segreti hanno giocato un ruolo. Trump è deciso a risolvere la «spina persiana» che tormenta l’America dal 1979. Netanyahu ha promesso che mai lascerà agli ayatollah l’arma atomica. È possibile che Israele abbia un appoggio americano per azioni risolute contro i siti nucleari iraniani.

Trump però vuole anche riprendere a tessere la tela degli accordi Abramo, con il traguardo finale del disgelo tra Arabia e Israele. Il prezzo per avere i sauditi è qualche garanzia sul futuro Stato palestinese, ancorché proiettata nei tempi lunghi e senza un tracciato preciso per arrivarci.

Israele e Hamas, presupposti e aspettative per una tregua

Tregua è fatta, o meglio quasi fatta. Non pace, comunque, è un risultato assai importante, considerata la sequenza di negoziati falliti a Doha e al Cairo dal tragico e controverso 7 ottobre 2023, a fronte delle svariate decine di migliaia di vittime. E pregiudicati di volta in volta da attentati spettacolari (i walkie-talkie libanesi), bombardamenti su sedi diplomatiche, omicidi “eccellenti” (Nasrallah, storico leader di Hezbollah, Aniyeh e il successore Sinwar al vertice di Hamas).

E poi i rischi di esplosione regionale, con gli scambi missilistici tra Israele e Iran, il coinvolgimento del Libano con i raid aerei e la tentata invasione terrestre, l’implicazione in Siria.

La tregua, siglata con la mediazione di Qatar, Egitto e Usa, sarà operativa dal 19 gennaio, distesa su 42 giorni, scandita in tre fasi. La prima, con un iniziale scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, l’accesso di aiuti umanitari e il ritiro dei militari dell’Idf in zone cuscinetto; la seconda definirà il completamento della prima; l’ultima fase dovrebbe programmare la ricostruzione e l’insediamento di una nuova amministrazione nella Striscia.

Trump: da la notizia per primo su truth

Mentre Biden rivendica l’efficacia della traccia da lui delineata nel maggio scorso, il messaggio del successore alla Casa Bianca illustra un elemento decisivo: la tregua sarà il trampolino per rilanciare gli Accordi di Abramo, di cui detiene il brevetto.

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Hamas parla del frutto della tenace resistenza palestinese alla violenza distruttrice di Israele, mentre il governo di Tel Aviv, meno trionfalistico, vanta comunque il successo di aver punito il nemico riportando infine a casa gli ostaggi.

Su Hamas hanno pesato i risvolti nel teatro siriano, dove la caduta di Assad ha interrotto il corridoio tra Iran ed Hezbollah, su cui sinora la guerriglia urbana palestinese ha potuto fare conto, e ha inciso anche la spinta di Trump, accompagnata dalla minaccia di rendere la situazione di Gaza, se possibile, via più infernale.

Foto: Shutterstock

Israele ha fatto i conti con più variabili: possono aver pesato le ambivalenze dell’incognita siriana sotto la regia di Ankara, sospettandone la tentazione di competere con Teheran, per assegnarsi – con maggior coerenza confessionale, vista la condivisione sunnita tra turchi e arabi – il ruolo di membro Nato di prim’ordine.

D’altronde, Teheran, venuta meno la sponda di Damasco e paventando le strette di Trump, potrebbe dotarsi di armi nucleari, e già si accinge a sottoscrivere con la Russia un partenariato strategico globale, che potrebbe integrare il settore difesa con funzioni di deterrenza.

Il Likud è poi strettamente legato ai repubblicani Usa, cementato dai nessi personali tra Netanyahu e Trump, il che rende il primo sensibile all’intento del tycoon di normalizzare il Medioriente, quel minimo che servirebbe a integrare l’Arabia Saudita negli Accordi di Abramo: per delegare al sodalizio israelo-saudita la gestione del Medioriente, ma anche per strappare Riyad all’orbita dei Brics e contrastare la dedollarizzazione dei mercati, cui sta contribuendo la diversificazione valutaria dell’export del greggio arabo (anche in yuan cinese).

Una contropartita da offrire ai sauditi sarebbe la ricostruzione di Gaza con relativo affaccio dei loro interessi sul Mediterraneo, cercato anche in Libano.

Gran parte delle strade porta a Washington, in vista dell’insediamento trumpiano

Giunti a questo punto, Hamas e Israele si saranno interrogati sugli obiettivi perseguibili nel vicolo cieco scavato in questi 15 mesi, oltre l’orizzonte del massacro che miete vittime anche tra le regole del supposto ordine globale su cui si basa; un massacro che per la popolazione gazawi vuol dire decimazione, mentre per Tel Aviv significa anche discredito internazionale, proteste interne mobilitate dai familiari degli ostaggi, carenza occupazionale imposta dalla rotazione dei richiamati, stress traumatico nelle file dell’Idf e blocco dei traffici nel Mar Rosso inferto dagli Huthi.

Sulla tregua incombono varie incognite: eventuali violazioni, pur episodiche, potrebbero provocare la recrudescenza; inoltre, Hamas accetterà nei fatti il non-detto dell’accordo, cioè la propria estromissione dalla Striscia, con subingresso dell’Anp nell’amministrazione di Gaza?

Il governo Netanyahu si asterrà dall’usare le zone cuscinetto (quali?) assegnate all’Idf come avamposto per insediamenti di coloni nel nord della Striscia, in linea con i progetti dell’ultradestra e dei sionisti religiosi inclusi nell’esecutivo, oppure la tregua a Gaza suggerirà di forzare la mano in Cisgiordania per nuove occupazioni illegali? Sullo sfondo, nel lungo periodo, si profilano gli effetti della disperazione e dell’odio irrorati dal sangue versato, incubatori di vendetta.

Foto: Ansa

Sono elementi di cui tenere conto, ma da non permettere che paralizzino il coraggio di costruire la pace, attraversando le incertezze e ricominciando dai fallimenti; da un punto occorre pur partire. E questa tregua lo offre.

Il costo della guerra a Gaza

L’economia israeliana è sotto pressione a causa della guerra più lunga e costosa nella storia del Paese, che ha portato addirittura a un declassamento del suo rating creditizio da parte dell’agenzia statunitense Moody.

Foto: Shutterstock

Secondo i dati della Banca di Israele, i costi della guerra potrebbero raggiungere 250 miliardi di shekel (più di 60 miliardi di euro) entro la fine del prossimo anno, pari a circa il 12% del Pil di Israele; inoltre si prevede che – in relazione all’aumento della spesa per la Difesa – il deficit di bilancio di Israele raddoppi fino all’8% del Pil.

Israele e la crescita economica

Le proiezioni di crescita economica per Israele sono scese dall’aspettativa iniziale del 3,4% a una forbice compresa tra l’1% e l’1,9%. Inoltre, il settore tecnologico, che rappresenta il 20% dell’economia d’Israele, rischia di subire danni a lungo termine, inclusa una massificata “fuga di cervelli”.

Le piccole e medie imprese stanno chiudendo a un ritmo accelerato, con stime elaborate da Coface BDi – una delle principali società di analisi aziendale in Israele – che parlano di 60mila chiusure nel 2024.

Ma anche il rapporto con i “vicini” palestinesi ha una grossa influenza sull’economia israeliana: anche a causa della mancanza di manodopera palestinese, infatti, la produzione agricola in Israele ha subito una flessione del 25%.

Inoltre, la mobilitazione militare (con una chiamata alle armi di circa 300mila riservisti) ha causato una significativa perdita di forza lavoro, riducendo l’operatività delle aziende.

In risposta, sono state implementate nuove strategie di adattamento, come il lavoro da remoto e l’istituzione di fondi per supportare le aziende rallentate dalla guerra, ma rimangono preoccupazioni sulla fiducia degli investitori e sulla sostenibilità a lungo termine del settore in cui si rileva un calo del 55% nella mobilitazione di capitali per startup “ad alto rischio”.

Situazione socio-economica a Gaza

A Gaza è semplicemente devastante a causa della disoccupazione (oltre l’80%), della crisi umanitaria e della mancanza di fonti di reddito, mentre Le Monde registra un aumento dei prezzi di circa il 250% in un anno.

Anche in Cisgiordania la disoccupazione è alle stelle e l’Autorità Palestinese (Anp) è sull’orlo del collasso finanziario, soprattutto a causa del fatto che Israele trattiene le tasse doganali che dovrebbe trasferire all’Anp, causando un’ulteriore crisi fiscale.

La Cisgiordania è inoltre altamente dipendente dall’esterno e da Israele in particolare, con il 64,1% del commercio estero diretto verso di esso.

Attualmente, solo il 2,3% dei lavoratori palestinesi di Cisgiordania sono impiegati in Israele, il che rappresenta un drastico calo rispetto al 22%, precedente agli attacchi del 7 ottobre 2023.

Foto: Shutterstock

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha indicato che il Pil di Gaza si è ridotto di quasi il 90% a causa dei continui bombardamenti israeliani che hanno gravemente inficiato i mezzi di sussistenza della popolazione civile e contribuito a una crisi umanitaria caratterizzata da condizioni socioeconomiche disastrose e da una insufficiente fornitura di aiuti umanitari.

La risposta della comunità internazionale alla crisi economica di Gaza è stata multiforme, concentrandosi su aiuti umanitari immediati, sforzi di ripresa a lungo termine e richieste di cambiamenti strutturali.

Organizzazioni come l’International Rescue Committee (Irc) stanno fornendo attivamente cure mediche di emergenza e forniture alimentari a Gaza e nonostante il perdurare della guerra, sono riusciti a fornire servizi essenziali e sostegno alle famiglie sfollate, compresi servizi di salute mentale e programmi nutrizionali.

Si tratta di però di una goccia nel mare e la situazione rimane critica a causa del fatto che le possibilità di intervento nella Striscia di Gaza sono molto limitate: pertanto le Nazioni Unite hanno evidenziato l’urgente necessità di assistenza umanitaria, sottolineando che un cessate il fuoco è fondamentale per assicurare che gli aiuti internazionali giungano a destinazione.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto inoltre il libero accesso agli aiuti umanitari, sottolineando che le condizioni attuali sono letteralmente “insostenibili” per la popolazione civile.

Una situazione drammatica, che – oltre all’enorme costo in termini di vite umane – rappresenta un ulteriore fattore di inasprimento del conflitto.

 

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