Ops di Mps su Mediobanca: fatti, commenti e scenari
Come finirà il risiko bancario alla luce dell'Ops di Mps su Mediobanca. Il punto di Roberto Seghetti estratto da Appunti di Stefano Feltri.
Come finirà il risiko bancario alla luce dell’Ops di Mps su Mediobanca. Il punto di Roberto Seghetti estratto da Appunti di Stefano Feltri
Primo fatto. Da alcuni anni, in particolare dal 2018, due gruppi privati (Caltagirone e Delfin, società che oggi controlla l’impero degli eredi Del Vecchio) tentano di conquistare, invano, posizioni dominanti in Mediobanca, che controlla il pacchetto di azioni di riferimento per le Generali (13,1 per cento).
Oggi Caltagirone controlla il 5,5 per cento delle azioni Mediobanca e Delfin il 19,81.
A contrastare le mire di Caltagirone e Del Vecchio è stato, finora con successo, l’amministratore delegato della Mediobanca, Alberto Nagel, insieme ai suoi alleati.
Chi sono gli altri azionisti della Mediobanca? La famiglia Benetton (oltre il 2 per cento), un gruppo di industriali riuniti in un accordo che vale oltre l’11 per cento delle azioni (dalla Mediolanum delle famiglie Doris e Berlusconi, a Gavio e Monge, Ferrero, Lucchini). Senza contare colossi mondiali del calibro di BlackRock (oltre il 4 per cento di azioni), Vanguard, Nordgest, Fidelity.
Secondo fatto. A certificare che l’obiettivo di Caltagirone e Delfin riguarda anche le Generali sono stati in questi anni gli acquisti di pacchetti azionari della compagnia di assicurazione: il 9,93 per cento del capitale della compagnia è in mano oggi a Delfin, il 6,92 per cento a Caltagirone. Gli altri principali azionisti di Generali sono Mediobanca (13,10 per cento) e Benetton (4,8 per cento).
Terzo fatto. Con l’aggregazione tra Banco popolare e Banca Popolare di Milano è cresciuto negli ultimi anni un gruppo bancario particolarmente forte al Nord (ma non solo) che può legittimamente ambire oggi a costruire un terzo polo di attrazione, facendo concorrenza a Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Bpm ha esplicitato questa ambizione lanciando nei primi giorni di novembre del 2024 una proposta pubblica di acquisto totale di Anima, una delle principali società di gestione del risparmio privato italiano, nata su impulso della stessa Bpm, che è rimasta nel capitale come azionista insieme a Mps e poi anche a Poste italiane.
Il governo ha accolto questa ipotesi con favore, perché avrebbe riequilibrato il peso dei due colossi assoluti, Intesa e Unicredit, entrambi nati da aggregazioni successive di ex colossi bancari pubblici.
Vale la pena di ricordarlo, sia pure brevemente.
A Intesa si è giunti mettendo insieme, tra gli altri, la Comit, l’Istituto San Paolo di Torino, l’Ambrosiano e la Cassa di risparmio delle province Lombarde, più altre casse di risparmio, come quelle di Firenze e Bologna. Dentro c’è molto Nord.
A Unicredit si è giunti mettendo insieme, tra gli altri, il Credito Italiano e Capitalia, cioè l’ex Banco di Roma, la cassa di risparmio di Roma e il Banco di Santo spirito, il Banco di Sicilia, alcune casse di risparmio e istituti di rilievo in Austria e in Germania. Ci sono dentro pezzi di Nord, ma anche di Roma, di Sud.
Quarto fatto. Il Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica del mondo, una volta collegata a doppio filo con il territorio toscano, e con la politica toscana, dopo una crisi devastante che ne ha messo in pericolo la stessa esistenza, è stata ricapitalizzata dalla Stato e negli ultimi due anni è rinata a nuova vita.
Avviato il risanamento, il governo ha ceduto una parte delle quote acquisite con l’aumento di capitale. E indovinate chi è entrato nell’azionariato con posizioni prominenti? Caltagirone con il 5 per cento, Delfin con il 9,7. Il ministero dell’Economia e delle Finanze resta il primo azionista con l’11,7 per cento.
Quinto fatto. Ferma Banca Intesa anche per motivi di peso e di antitrust, di fronte all’evoluzione del mercato bancario in questi mesi, si è mossa con forza Unicredit.
L’amministratore delegato, Andrea Orcel, ha lanciato due proposte di conquista: una su Commerzbank (vecchio interlocutore privilegiato in Germania del Banco di Roma e poi di Capitalia, che oggi sono nella pancia di Unicredit), l’altra, un’offerta pubblica di scambio, il 25 novembre – e qui le date sono significative – su Bpm.
In entrambi i casi la maggioranza politica che sostiene il governo ha storto non poco il naso. Nel caso della Bpm l’entrata in scena di Unicredit disturbava la creazione del terzo polo. Anche queste erano-sono, con tutta evidenza, operazioni di mercato. Ma evidentemente alla corte di Giorgia Meloni c’è mercato e mercato.
Sesto fatto. A dicembre il Credit Agricole, grande banca francese ha accresciuto la propria quota in Bpm dal 9,9 per cento al 15,1 e si è detta pronta a salire fino al 19,9.
Settimo fatto. Il 21 gennaio le Generali hanno annunciato un accordo di alleanza nel risparmio gestito con la BPCE, la seconda banca di Francia, proprietaria della società di investimento Natixis. L’intesa è volta a unire le rispettive divisioni investimenti e creare una grande società che arriverebbe a gestire quasi 1.900 miliardi di euro per conto dei clienti. La nuova società diventerebbe così la nona al mondo per patrimonio gestito.
Un legame così pesante è chiaro che renderà più difficile qualsiasi operazione di conquista della compagnia italiana. Il governo ha chiamato in causa la difesa del risparmio nazionale. I no sono fioccati. Ma la compagnia non ha battuto ciglio e ha realizzato quanto deciso.
Ottavo fatto. Pochi giorni or sono, il 24 gennaio, il rinato Monte dei Paschi di Siena ha lanciato un’offerta pubblica di scambio totale (valore 13,3 miliardi) per la conquista della Mediobanca. Operazione di mercato, ha commentato Giorgia Meloni.
Nono fatto. Mediobanca ha giudicato l’offerta ostile e si prepara a respingere l’attacco. E non è escluso che altri si schierino nella battaglia.