E’ l’anno del Kangchenjunga. Settant’anni fa la vittoria di Joe Brown e George Band

Il 1953 è stato l’anno dell’Everest, il 1954 quello del K2. Quest’anno ricordiamo i 70 anni dalle prime salite del Kangchenjunga la terza montagna della Terra L'articolo E’ l’anno del Kangchenjunga. Settant’anni fa la vittoria di Joe Brown e George Band proviene da Montagna.TV.

Jan 14, 2025 - 15:57
E’ l’anno del Kangchenjunga. Settant’anni fa la vittoria di Joe Brown e George Band

All’una del pomeriggio del 25 maggio 1955, due alpinisti britannici si lasciano finalmente alle spalle l’abisso della parete Sud-ovest del Kangchenjunga. La vittoria della spedizione del 1953 all’Everest ha dato a George Band e Joe Brown disinvoltura e sicurezza. Le giacche di piumino, i respiratori, gli scarponi di cuoio farebbero sorridere gli alpinisti di oggi. Ma rispetto alle spedizioni d’anteguerra c’è stato un enorme progresso.

Quando escono in cresta, gli inglesi hanno impiegato cinque ore dal loro campo a 8200 metri. Per ancorare la tenda al pendio, la sera prima, hanno dovuto scavare per ore con le piccozze nella neve ghiacciata. La mattina della vetta, George e Joe si mettono in moto alle otto e un quarto, dopo tre ore per sciogliere neve, fare colazione e vestirsi.
Iniziano per una facile rampa di neve, piegano a destra su roccia, senza ramponi. Non si passa, e i due devono ridiscendere alla rampa, rimettere i ramponi, salire ancora sulla neve. La deviazione tentata troppo presto ha un motivo. Brown e Band temono di uscire sulla cresta del Kangch a troppa distanza dalla vetta, e di dover superare o aggirare molte torri rocciose. Appena possono lasciano nuovamente la rampa, salendo per rocce innevate e difficili.
Salgono uno alla volta, in cordata, con ancoraggi aleatori. Su un passaggio acrobatico Brown pianta un buon chiodo, seguono due tiri di corda su un pendio di ghiaccio vivo a 60 gradi. Poi gli alpinisti si affacciano sull’abisso della parete Sud-ovest. Per non restare senza ossigeno, riducono il flusso a due litri al minuto, il minimo che il respiratore consente.

George e Joe sanno di avere poco tempo per arrivare in cima. Hanno faticato cinque ore ma si concedono pochi minuti di sosta, in una conca nevosa. Mangiano dei dolci, bevono limonata. Vedono la piramide sommitale, ma questo non li conforta. Mancano cento metri di dislivello, la cresta è aerea e interrotta da pinnacoli rocciosi, nelle bombole resta ossigeno per due ore.
Quando ripartono, i due inglesi seguono il filo di cresta, poi si spostano a destra su una rampa. Ormai le altre vette del Kangch sono più basse di loro. Aggirano un naso di roccia, scavalcano un diedro, risalgono un canalino di neve. L’ultimo ostacolo è una parete “verticale, color ambra, incisa da fessure parallele”, alta 7-8 metri. Nessuno ha affrontato un passaggio così oltre gli ottomila metri. Ma Joe Brown è uno dei migliori arrampicatori del mondo.

Sceglie una fessura e la risale, incastrando mani e piedi. Si protegge con cordini ancorati a blocchi incastrati. George Band gli fila la corda e gli scatta una foto. Nel 2005, quando gli chiederò di quel passaggio, Joe mi dirà con un sorriso che “qualunque altro alpinista lo avrebbe salito”. Invece quella fessura tra il quarto e il quinto grado, salita a 8580 metri con zaino e respiratore sulle spalle, resta un exploit straordinario.
Dalla sommità del torrione, Joe urla “we’re there!”, “ci siamo!”. George sale la fessura da secondo, con la corda tesa ma senza bisogno di aiuto. Ancora qualche passo, poi i due si fermano per lasciare vergine la cima, che per i buddhisti è sacra. Evans lo ha promesso al Chogyal, il principe del Sikkim. Due anni dopo l’Everest di Hillary e Tenzing, un anno dopo il K2 di Compagnoni e Lacedelli, la terza cima del mondo è stata raggiunta dall’uomo.

Dieci giorni prima, il 15 maggio, i francesi Lionel Terray e Jean Couzy hanno messo piede sul Makalu, la quinta cima del mondo. Un anno dopo, nel maggio 1956, quando gli svizzeri Fritz Luchsinger ed Ernst Reiss si stringeranno la mano sul Lhotse, verrà completata la conquista delle cinque vette più alte della Terra.
La spedizione che sale il Kangchenjunga è la rivincita di Charles Evans e George Band, che sull’Everest si sono sacrificati per il trionfo di Hillary e di Tenzing. E’ la rivincita degli alpinisti nati nel Regno Unito, dopo che sulla cima più alta sono arrivati un neozelandese e uno sherpa.

Il mondo della montagna britannico è sempre stato diviso in due. Da una parte l’alpinismo dei borghesi e dei nobili, soci dell’Alpine Club, che sono di casa a Chamonix e a Zermatt, si legano alle migliori guide alpine, possono permettersi lunghe estati sulle Alpi e spedizioni in zone remote. Dall’altra le scalate degli arrampicatori di estrazione operaia sulle rocce del Galles e del Peak District.
Joe Brown, di Manchester, lavora in edilizia, ed è il signore delle rocce di Clogwyn Du’r Arddu, “Cloggy”, e di altre pareti famose. La sua classe di arrampicatore e le sue braccia lunghe e forti, allenate dal lavoro, lo hanno aiutato a tracciare vie di estrema difficoltà, con pochissime protezioni.

Nel 1955 sul Kangch, Joe è il primo britannico di estrazione popolare a partecipare a una spedizione di professionisti, medici, militari di carriera e professori. Dà un contributo decisivo, ma le sigarette complicano il suo rapporto con gli altri. Joe fuma come un turco, e George deve fare uno sforzo per non buttarlo fuori dalla tenda trasformata in una camera a gas.

Negli anni Cinquanta, con le imprese di alpinisti working class come Joe Brown e Don Whillans, le cose cambiano sul Monte Bianco e in Himalaya. Lo dimostrano vie alpine come la Fessura Brown dell’Aiguille de Blaitière e il Pilone Centrale del Frêney, e poi capolavori himalayani come la parete Sud dell’Annapurna e la Sud-ovest dell’Everest.
L’itinerario al Kangch dal versante di Yalung era stato tentato nel 1905 dalla spedizione di Aleister Crowley e Jules Jacot-Guillarmod, che è finita in tragedia. Nel 1920 è tornato all’attacco lo scozzese Harold Raeburn, nel 1954 un team inglese diretto da John Kempe si è dovuto fermare a 6500 metri, davanti a un enorme crepaccio.   

Alba sul Kangch da Sandankphu, foto Stefano Ardito

Una spedizione che doveva essere solo “esplorativa”

La spedizione vittoriosa nasce nell’ottobre 1954 a Liverpool, in un incontro tra George Band e Charles Evans. John Hunt ha scritto che “chi salirà per primo il Kangchenjunga compirà una delle più grandi imprese dell’alpinismo”, con “problemi tecnici e pericoli oggettivi di un ordine superiore all’Everest”.
L’Alpine Club organizza una “forte spedizione esplorativa”, ma se la via sarà percorribile Evans potrà tentare la cima. Il 12 febbraio il gruppo s’imbarca a Liverpool per l’India. Oltre a Evans, Brown e Band ci sono John Jackson, Norman Hardie, Tom McKinnon, Tony Streather, Neil Mather e John Clegg. Tutti i giorni Streather, capitano dell’Esercito, impartisce le lezioni di hindi, utile per comunicare con i portatori e gli Sherpa.

Gli alpinisti vedono per la prima volta il Kangchenjunga dalle piantagioni di tè di Darjeeling, partono a piedi il 14 marzo insieme a 319 portatori, camminano per 150 chilometri, piazzano il campo-base sul ghiacciaio di Yalung a 5140 metri, ai piedi di una grande seraccata.
L’ambiente severo, la via è difficile, dall’alto cadono in continuazione valanghe. Sulla seraccata Band e Hardie dedicano due giorni alla “più esilarante arrampicata su ghiaccio delle nostre vite”. “Quella del Khumbu al confronto è un gioco da ragazzi” commenta Evans. Poi il pendio si corica, le difficoltà si riducono, e il solo problema è il pericolo di far staccare una valanga.

Un facile crinale di neve porta al Great Shelf, il terrazzo glaciale ai piedi dell’edificio sommitale. Maltempo e contrattempi rallentano il team. Poi, il 24 maggio, viene piazzato l’ultimo campo. La sera del 25, quando Band e Brown tornano alla tenda, trovano Norman Hardie e Tony Streather che preparano loro la cena, e l’indomani tornano sulla cima. Ai piedi della fessura difficile Tony traversa a sinistra, e trova un comodo pendio di neve.
“Pochi gruppi, nella storia dell’alpinismo hanno avuto tanto terreno vergine da esplorare” mi racconterà George Band a Londra, dopo aver festeggiato i 50 anni dell’impresa con gli altri tre che hanno raggiunto la vetta. Oggi quegli uomini non sono più tra noi, ma l’importanza della loro impresa del 1955 rimane.

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