Allarme rumore, le città europee sono un inferno acustico: scopri i dati Ue
In Europa, l’inquinamento atmosferico uccide almeno 250mila persone all’anno, mentre il rumore genera fino a 12mila morti premature e 48mila nuovi casi di disturbi cardiaci. Sono cifre allarmanti, che la nuova relazione della Corte dei conti europea ha riportato al centro del dibattito pubblico. Da un lato, infatti, si registrano timidi passi avanti nella qualità...
In Europa, l’inquinamento atmosferico uccide almeno 250mila persone all’anno, mentre il rumore genera fino a 12mila morti premature e 48mila nuovi casi di disturbi cardiaci. Sono cifre allarmanti, che la nuova relazione della Corte dei conti europea ha riportato al centro del dibattito pubblico.
Da un lato, infatti, si registrano timidi passi avanti nella qualità dell’aria, dall’altro permane un ritardo evidente nel ridurre l’inquinamento acustico, “spesso trascurato e praticamente immutato rispetto agli obiettivi fissati”, si legge nella “Relazione speciale Inquinamento urbano nell’Ue. Le città hanno aria più pulita, ma sono ancora troppo rumorose”.
Le stime della Commissione europea non lasciano spazio a dubbi: le normative, i monitoraggi e gli investimenti fatti negli ultimi anni hanno migliorato la situazione in diverse aree urbane, ma “resta ancora molto da fare”, soprattutto se si pensa al livello di NO2 (biossido di azoto) – legato principalmente alle emissioni da traffico su gomma – che supera i limiti comunitari in almeno 10 Stati membri.
“Sono stati compiuti progressi nella lotta contro l’inquinamento urbano, ma sarebbe un errore dormire sugli allori. L’Ue e i suoi Stati membri devono capire che gli obiettivi ambiziosi potranno essere raggiunti soltanto a prezzo di notevoli ulteriori sforzi”, ha dichiarato Klaus-Heiner Lehne, il membro della Corte responsabile dell’audit.
Aria più pulita, ma non abbastanza
Se da un lato si constata un calo delle emissioni di particolato (PM2,5 e PM10) e altri inquinanti dovuti a politiche più stringenti e a una maggiore consapevolezza ambientale, il quadro del biossido di azoto resta problematico. Come anticipato, nel 2022, infatti, ben 10 Stati Ue hanno registrato valori di NO2 oltre la soglia consentita. In vista dell’ulteriore inasprimento delle norme entro il 2030, voluto dalla Commissione europea per avvicinarsi alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), appare evidente la necessità di soluzioni incisive e coordinate.
I dati evidenziano come la riduzione di emissioni da traffico urbano – automobili, mezzi pesanti, bus – sia cruciale per proteggere la salute di oltre il 70% dei cittadini europei, che vivono in aree densamente popolate. Le zone a basse emissioni, sebbene ancora discusse e talvolta osteggiate dalle comunità locali, hanno dimostrato di poter incidere positivamente sulle concentrazioni di inquinanti.
Il grande assente: il silenzio
Secondo la Corte dei conti Ue, le città sono “ancora troppo rumorose” e, in assenza di obiettivi vincolanti, è difficile tracciare un quadro complessivo e completo. Molti Paesi dell’Unione non dispongono di un monitoraggio acustico costante e regolare, con segnalazioni spesso lacunose e in ritardo rispetto agli obblighi di comunicazione. A peggiorare le cose, anche le soglie limite indicate dalla direttiva sul rumore (END) risultano meno restrittive rispetto a quelle raccomandate dall’Oms.
I dati finora disponibili suggeriscono che la popolazione esposta a livelli elevati di rumore notturno e diurno potrebbe essere più ampia di quanto emerga dalle rilevazioni. Peggio ancora, in molti casi si assiste a una vera e propria redistribuzione del disturbo, con provvedimenti urbanistici che riducono il carico acustico in alcune zone, scaricandolo però in quelle vicine.
La sfida delle città
Alcune grandi capitali europee – Atene, Barcellona, Cracovia – hanno introdotto piani d’azione, ma incontrano ostacoli nell’implementazione di misure volte a migliorare la qualità dell’aria e ridurre il rumore. Spesso il coordinamento tra autorità nazionali, regionali e locali risulta inefficace e causa ritardi. Zone pedonali, corsie preferenziali, potenziamento dei trasporti pubblici e limiti alla circolazione dei veicoli più inquinanti finiscono per scontrarsi con polemiche locali, azioni legali o mancanza di fondi per realizzazioni su larga scala.
Emblematico è il caso delle aree a basse emissioni (LEZ), diffuse in diverse città europee ma non sempre accolte positivamente dalla comunità. I cittadini temono restrizioni e maggiori costi per l’adeguamento dei veicoli, mentre i governi locali cercano di bilanciare esigenze economiche, politiche e ambientali.
Obiettivi troppo ambiziosi?
Il Green Deal europeo fissa, per il 2030, obiettivi ancora più stringenti per la riduzione delle emissioni nocive e del rumore. Tuttavia, i target non risultano vincolanti e molti osservatori ritengono che si faccia troppo affidamento sulla buona volontà dei singoli Paesi. In questa fase, la Commissione Ue ha messo a disposizione una notevole quantità di risorse: 46,4 miliardi di euro tra il 2014 e il 2020, saliti a 185,5 miliardi per il settennato 2021-2027. Ma la Corte dei conti osserva che tali finanziamenti non sono sempre sfruttati al meglio, soprattutto per la mancanza di progetti specifici e la difficoltà di coordinamento.
Cosa ci aspetta
La relazione della Corte dei conti Ue lancia un messaggio chiaro a governi e amministrazioni: senza politiche incisive, controlli rigorosi e investimenti mirati, difficilmente riusciremo a raggiungere gli standard in materia di qualità dell’aria e a migliorare sensibilmente la situazione dell’inquinamento acustico.
Di sicuro, come sottolinea la Commissione, “l’Europa non può permettersi di abbassare la guardia”. Tra piani di transizione ecologica, mobilità sostenibile e nuove tecnologie, i margini di miglioramento esistono. Resta però da capire in che modo le autorità decideranno di affrontare il problema nei prossimi anni, trasformando le città in spazi più vivibili e meno soffocati da smog e rumore.
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