George Orwell, all'insegna della libertà delle parole
«Non bisognerebbe mai intraprendere un’attività del genere a meno di non essere guidati da un qualche demone incomprensibile al quale non si può resistere». Nel saggio Perché scrivo, del 1946, George Orwell, pseudonimo letterario di Eric Arthur Blair, descrisse in questi termini il lavoro dello scrittore, definendo la creazione di un libro «una lotta orribile ed estenuante, come un lungo periodo di dolorosa malattia».Una lotta che poteva essere affrontata, a suo giudizio, solo tentando di sfidare lettori e lettrici, cercando di aggiungere tasselli di conoscenza alla narrazione della realtà e «trasformare la scrittura politica in un’arte». Orwell cercò di farlo per tutta la vita, fino alla morte avvenuta il 21 gennaio 1950, diventando uno degli autori più originali, e in prospettiva influenti, del XX secolo.Verso la scritturaEric Arthur Blair nacque nella località di Motihari, nell’attuale regione indiana del Bengala, al tempo dell’impero coloniale britannico, il 25 giugno 1903. Figlio di un funzionario statale dell’amministrazione dell’Opium Department, Richard Walmsley Blair, e di una donna di grande fervore intellettuale, Ida Mabel Limouzin, si trasferì quasi subito in Inghilterra con la madre e la sorella, Marjorie – nell’attesa del ritorno del padre, che avvenne nel 1912. Visse quindi i primi anni esplorando e leggendo, frequentò la St. Cyprian’s School, una scuola piuttosto elitaria nella contea dell'East Sussex in cui faticò ad ambientarsi, e più avanti, grazie a una borsa di studio, il prestigioso Eton College, nel Berkshire, ricevendo un’educazione tanto completa quanto rigida. Fu allora che compì una prima scelta non convenzionale. Decise infatti di non proseguire gli studi universitari, di non addentrarsi in luoghi come Cambridge od Oxford, preferendo invece tentare una carriera nell’amministrazione coloniale.Dal 1922 al 1927 prese servizio nella polizia imperiale in Birmania, un’esperienza che – anche per lo stretto contatto con la cultura locale – segnò la sua visione del mondo nonché il suo percorso di maturazione personale. Conobbe più a fondo, infatti, i meccanismi del potere, specialmente quello esercitato dai dominatori europei a danno dei dominati extraeuropei, e questo lo spinse a tornare in Inghilterra con un obiettivo ambizioso: diventare uno scrittore. Iniziò dunque a collaborare con giornali e riviste, barcamenandosi tra i lavori precari e sottopagati, esplorando i bassifondi metropolitani di città come Londra e Parigi, e iniziando infine a pubblicare i suoi primi scritti. Anche per non rendere evidente il legame con la famiglia, trovò allora un suggestivo pseudonimo ispirato al nome di fiume della regione Suffolk al quale era molto affezionato, il fiume Orwell. Gli si dischiuse così di fronte un’altra vita – piena di incertezze ma ricca di passioni.Dentro il novecentoCon il nome di George Orwell pubblicò libri dal taglio autobiografico come Senza un soldo a Parigi e Londra, nel 1933, o romanzi come Giorni in Birmania nel 1934, una brillante messa in discussione del colonialismo britannico, o anche testi di denuncia sociale come La strada di Wigan Pier, nel 1937, incentrata sulle pessime condizioni della classe operaia nel nord industriale britannico, sull’espandersi delle lotte sindacali e sulla proiezione del socialismo inglese. Proprio al socialismo, d’altro canto, Orwell si avvicinò in modo rigoroso, intrecciando creazione artistica, impegno militante e sensibilità culturale. Cominciò a trasformarsi, da sinistra, in uno dei più conturbanti scrittori della Gran Bretagna, con prese di posizione ricercate ma accessibili, e spesso pungenti. Importante per lui fu anche la figura di Eileen O'Shaughnessy, studiosa di grande talento e sagacia, con la quale si sposò nel 1936.In quel contesto – con l'insidioso diffondersi del fascismo e del nazismo in Europa, tra inconfessabili complicità o aperte connivenze – Orwell non esitò a schierarsi. Di fronte al golpe militare del generale nazionalista Francisco Franco, vertice ultimo di un vasto fronte reazionario, lo scrittore britannico, insieme alla moglie, risposte infatti alla chiamata antifascista che, da tutto il continente, attirò intellettuali, attivisti, lavoratori e lavoratrici a difesa della repubblica di Spagna sconvolta dalla guerra civile. Quest’esperienza lo mise a confronto con l’asprezza della polarizzazione ideologica, le fragilità della democrazia, ma anche le esitazioni e le ritrosie delle maggiori democrazie liberali continentali (le quali, a differenza dell’Unione Sovietica, non fornirono un supporto dirette alle milizie repubblicane).Ferito da un cecchino franchista, Orwell fu costretto a rientrare in Inghilterra, per poi assistere alla vittoria di Franco col supporto essenziale di Adolf Hitler e Benito Mussolini. Raccontò ciò che aveva visto e vissuto in un celebre volume del 1938, Omaggio alla Catalogna, nel quale descrisse l’atmosfera elettrica di una Barcellona attraversata per intero da programmi e prospettive rivoluzio
«Non bisognerebbe mai intraprendere un’attività del genere a meno di non essere guidati da un qualche demone incomprensibile al quale non si può resistere». Nel saggio Perché scrivo, del 1946, George Orwell, pseudonimo letterario di Eric Arthur Blair, descrisse in questi termini il lavoro dello scrittore, definendo la creazione di un libro «una lotta orribile ed estenuante, come un lungo periodo di dolorosa malattia».
Una lotta che poteva essere affrontata, a suo giudizio, solo tentando di sfidare lettori e lettrici, cercando di aggiungere tasselli di conoscenza alla narrazione della realtà e «trasformare la scrittura politica in un’arte». Orwell cercò di farlo per tutta la vita, fino alla morte avvenuta il 21 gennaio 1950, diventando uno degli autori più originali, e in prospettiva influenti, del XX secolo.
Verso la scrittura
Eric Arthur Blair nacque nella località di Motihari, nell’attuale regione indiana del Bengala, al tempo dell’impero coloniale britannico, il 25 giugno 1903. Figlio di un funzionario statale dell’amministrazione dell’Opium Department, Richard Walmsley Blair, e di una donna di grande fervore intellettuale, Ida Mabel Limouzin, si trasferì quasi subito in Inghilterra con la madre e la sorella, Marjorie – nell’attesa del ritorno del padre, che avvenne nel 1912. Visse quindi i primi anni esplorando e leggendo, frequentò la St. Cyprian’s School, una scuola piuttosto elitaria nella contea dell'East Sussex in cui faticò ad ambientarsi, e più avanti, grazie a una borsa di studio, il prestigioso Eton College, nel Berkshire, ricevendo un’educazione tanto completa quanto rigida. Fu allora che compì una prima scelta non convenzionale. Decise infatti di non proseguire gli studi universitari, di non addentrarsi in luoghi come Cambridge od Oxford, preferendo invece tentare una carriera nell’amministrazione coloniale.
Dal 1922 al 1927 prese servizio nella polizia imperiale in Birmania, un’esperienza che – anche per lo stretto contatto con la cultura locale – segnò la sua visione del mondo nonché il suo percorso di maturazione personale. Conobbe più a fondo, infatti, i meccanismi del potere, specialmente quello esercitato dai dominatori europei a danno dei dominati extraeuropei, e questo lo spinse a tornare in Inghilterra con un obiettivo ambizioso: diventare uno scrittore. Iniziò dunque a collaborare con giornali e riviste, barcamenandosi tra i lavori precari e sottopagati, esplorando i bassifondi metropolitani di città come Londra e Parigi, e iniziando infine a pubblicare i suoi primi scritti. Anche per non rendere evidente il legame con la famiglia, trovò allora un suggestivo pseudonimo ispirato al nome di fiume della regione Suffolk al quale era molto affezionato, il fiume Orwell. Gli si dischiuse così di fronte un’altra vita – piena di incertezze ma ricca di passioni.
Dentro il novecento
Con il nome di George Orwell pubblicò libri dal taglio autobiografico come Senza un soldo a Parigi e Londra, nel 1933, o romanzi come Giorni in Birmania nel 1934, una brillante messa in discussione del colonialismo britannico, o anche testi di denuncia sociale come La strada di Wigan Pier, nel 1937, incentrata sulle pessime condizioni della classe operaia nel nord industriale britannico, sull’espandersi delle lotte sindacali e sulla proiezione del socialismo inglese. Proprio al socialismo, d’altro canto, Orwell si avvicinò in modo rigoroso, intrecciando creazione artistica, impegno militante e sensibilità culturale. Cominciò a trasformarsi, da sinistra, in uno dei più conturbanti scrittori della Gran Bretagna, con prese di posizione ricercate ma accessibili, e spesso pungenti. Importante per lui fu anche la figura di Eileen O'Shaughnessy, studiosa di grande talento e sagacia, con la quale si sposò nel 1936.
In quel contesto – con l'insidioso diffondersi del fascismo e del nazismo in Europa, tra inconfessabili complicità o aperte connivenze – Orwell non esitò a schierarsi. Di fronte al golpe militare del generale nazionalista Francisco Franco, vertice ultimo di un vasto fronte reazionario, lo scrittore britannico, insieme alla moglie, risposte infatti alla chiamata antifascista che, da tutto il continente, attirò intellettuali, attivisti, lavoratori e lavoratrici a difesa della repubblica di Spagna sconvolta dalla guerra civile. Quest’esperienza lo mise a confronto con l’asprezza della polarizzazione ideologica, le fragilità della democrazia, ma anche le esitazioni e le ritrosie delle maggiori democrazie liberali continentali (le quali, a differenza dell’Unione Sovietica, non fornirono un supporto dirette alle milizie repubblicane).
Ferito da un cecchino franchista, Orwell fu costretto a rientrare in Inghilterra, per poi assistere alla vittoria di Franco col supporto essenziale di Adolf Hitler e Benito Mussolini. Raccontò ciò che aveva visto e vissuto in un celebre volume del 1938, Omaggio alla Catalogna, nel quale descrisse l’atmosfera elettrica di una Barcellona attraversata per intero da programmi e prospettive rivoluzionarie, le mille difficoltà incontrate nelle zone più diverse della Spagna, e poi le peculiarità e le traversie del Partito operaio di unificazione marxista (POUM), una formazione marxista e anti-stalinista a cui si avvicinò. Annotò nella conclusione del libro: «Questa guerra, in cui ho avuto un ruolo così insignificante, mi ha lasciato ricordi che sono per la maggior parte brutti, eppure non vorrei non avervi partecipato».
Un intellettuale senza retorica
Durante la Seconda guerra mondiale Orwell lavorò molto, anche per la BBC, l’emittente radiofonica inglese. Inoltre promosse programmi culturali e collaborò con numerose testate, intervenendo con lucidità e audacia. Pur sostenendo lo sforzo bellico, rimase critico verso alle venature autoritarie presenti anche nelle democrazie occidentali e prese le distanze dal comunismo sovietico di stampo stalinista, proprio nel momento in cui, anche per via dell’alleanza internazionale contro le potenze dell’Asse, sembrava essersi attenuata la critica alle fondamenta del sistema autoritario costruito in URSS.
Iniziò a prendere forma allora, dentro Orwell, l’idea d'insistere su alcuni temi poco frequentati dal mondo della cultura e nel dibattito pubblico, con particolare riferimento alle derive del controllo statale sulla società civile e ai guasti provocati dalla manipolazione costante dei mezzi di comunicazione, soprattutto nel coltivare e nell’incentivare l’apatia e l’inerzia degli individui e delle collettività. Anche da queste riflessioni nacquero La fattoria degli animali del 1945, una sorta di favola amara intrisa di spigolose allegorie, centrata sulle degenerazioni delle rivoluzioni e sulle creazioni di nuove tirannie, e ancora 1984, un romanzo pubblicato nel 1949 che dipinge un quadro inquietante collocato in un tetro futuro dominato dalla figura ambigua, ansiogena ma drammaticamente onnipresente del Grande Fratello (in inglese, Big Brother). «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato», era lo slogan spiazzante inserito da Orwell nel libro, a testimonianza di un potere subdolo capace di piegare il passato per plasmare il futuro, di riscrivere continuamente la storia per ottundere le memorie personali e preservare l’ordine costituito.
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Orwell dopo Orwell
Una delle cifre distintive di Orwell fu la capacità di non nascondere o ridimensionare il ruolo della politica, convinto dell’inutilità della neutralità. In un tempo di conflitti e cambiamenti, si mosse infatti credendo che la politica non dovesse diventare un oggetto da contemplare a distanza di sicurezza, o addirittura da disprezzare o respingere. La negazione di qualsiasi tensione verso la politica – verso il raggiungimento di realizzazioni comuni – per Orwell era l’anticamera della negazione della verità. L’inizio della fine della libertà. In questo senso le sue opere, anche quelle satiriche o distopiche, furono in realtà pervase da un’autentica fiducia nell’avvenire, nella possibilità dell’umanità di battere nuove strade, di cambiare rotta laddove necessario e correggersi quando possibile. Una volta, soffermandosi sul suo lavoro, specificò: «Ogni riga di ogni lavoro serio che ho scritto dal 1936 a questa parte è stata scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e a favore del socialismo democratico, per come lo vedo io».
Negli ultimi anni di vita, segnati dall’aggravarsi del suo stato di salute, Orwell intensificò anche l’attività saggistica e giornalistica, ad esempio su quotidiani storici come The Observer, o su alcuni di più netto orientamento progressista, come Tribune. Viaggiò in un'Europa prostrata, adottò un bambino, chiamandolo Richard Horatio Blair, e perse inaspettatamente la moglie nel 1945, in seguito a complicazioni durante un intervento chirurgico. L’esigenza di crescere il figlio, a cui si legò moltissimo, non fece venire meno, in lui, la volontà di curare le sue principali opere fino all’ultima parola. Si spense a Londra all’inizio del 1950 per via di una tubercolosi polmonare, a quarantasei anni, lasciando dietro di sé un mondo nuovo, sopravvissuto alla minaccia fascista e nazista ma catapultato dentro la Guerra Fredda.
La sua eredità appare ancora oggi inestimabile. Orwell è del resto considerato uno dei più acuti critici sociali del novecento, un pensatore in grado di porre domande scomode senza fornire risposte rassicuranti; con un forte appello al valore civile della letteratura. A settantacinque anni dalla sua morte, non per caso, anche la zecca del Regno Unito, la Royal Mint, ha deciso di celebrarlo, dando il via alla produzione di una moneta da 2 sterline realizzata in varie versioni, ma sempre con un grande occhio sul retro, quello appunto del Grande Fratello. Un invito in più, tra gli altri, per riscoprire o leggere per la prima volta le opere di Eric Arthur Blair, in arte George Orwell.
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